Il Mondo Dietro L’angolo

Frammenti estratti da

Il Mondo Dietro L’angolo,

con Liù (strega-filosofa, oggi sceneggiatrice di serie tv), nata il 16 agosto 1991 a New York e Gabbianello (oggi docente di biologia), nato il 5 giugno 1991 a Locarno, Svizzera italiana

11 agosto 2013, Locarno

G: «Come mai non ti sei fatta viva lunedì?».

L:«Ero impegnata».

«A fare cosa?»

«Le mie nozze chimiche.»

«Cioè?»

«Cioè ad unire sole e luna dentro di me per mezzo del mercurio astrologico e quello alchemico.»

«Mmh. E martedì?»

«Martedì stavo cercando di capire perché fisica quantistica e teoria della relatività generale non si conciliano, rendendo impossibile la comprensione dell’origine dell’universo e della freccia temporale, in altre parole dell’asimmetria del tempo.»

«E hai capito?»

«Impossibile, nessuno capisce. E probabilmente mai capirà. Perché superato un certo confine il principio di non contraddizione viene a mancare e, di conseguenza, il dio è notte e giorno, fame e sazietà, pace e guerra, estate e inverno, corpuscolo e onda, uomo e topo – cioè Topolino – eccetera eccetera.»

«Un bel casino. E mercoledì perché non hai risposto alle mie telefonate?»

«Stavo scrivendo.»

«E cos’hai scritto?»

«Ho scritto: “Dimmi qualcosa non usando questo linguaggio. Questo linguaggio è come minimo ambiguo. Parlami per mezzo di una piramide. Di un’ombra. Di un maglione. Di un movimento del corpo. Di un mazzo di ravanelli. Ma non usandoli come segni di qualcosa. Per questo esiste già la macchina alfabetica. Offrili al mondo, e quindi anche a me, come movimenti generatori di vita.»

«E perché non mi hai spedito lo scritto?»

«L’ho fatto. Ma non usando i mezzi per scrivere.»

«E come allora?»

«Lasciamo stare.»

«Perché?»

«Perché tu mi devi chiedere di mercoledì.»

«Va bene. Mercoledì perché non ti sei fatta sentire?»

«Non potevo.»

«E come mai?»

«Al mattino a causa delle Moire. A mezzogiorno per via delle leggi della fisica. Al pomeriggio perché così ha voluto il caso. Di sera, per mia scelta.»

«Ah, grazie!»

«Di niente.»

«E giovedì che fine hai fatto?»

«Ascolta: se Natalie Portman non avesse portato con sé il libro Cloud Atlas sul set di V per Vendetta i fratelli Wachowski non ne avrebbero fatto un film. E, se ai tempi dell’università, David Mitchell, l’autore di Cloud Atlas, non avesse letto Se una Notte d’Inverno un Viaggiatore di Italo Calvino, probabilmente non avrebbe mai scritto Cloud Atlas.»

«Interessante. Ma che c’entra?»

«C’entra. Tutto è connesso. E giovedì io ero molto connessa.»

«Alla rete?»

«No, in generale.»

«Va be’. E venerdì?»

«Stavo leggendo.»

«Cosa leggevi?»

«Leggevo David Foster Wallace, Aimee Bender e Murakami Haruki.»

«Quali dei loro libri? E in che ordine?»

«Non saprei dirti. Pescavo pagine da tutti i loro libri, in modo casuale.»

«…»

«Ti ricordi quando ci siamo incontrati la prima volta?»

«Certo, come potrei non ricordarlo?»

«Avevamo quindici anni.»

«Già.»

«Sono passati sette anni.»

«Sì.»

«Eravamo in riva al lago Maggiore.»

«Certo.»

«Qual è la prima cosa che hai pensato di me?»

«Che ti avevo già vista. Da qualche parte in giro, ovviamente. Ma anche nei miei sogni.»

«Tipo Beautiful Creatures

«Tipo.»

«Vuoi sapere cosa ho fatto sabato?»

«Naturalmente.»

«Gettavo legna nel fuoco del mio innamoramento.»

«Mi auguro innamoramento per me.»

«Lo sai, non essere sciocco.»

«Oggi è domenica, e ci sei finalmente!»

«Sì, ci sono. E oggi è tutto il nostro futuro e tutto il nostro passato. Oggi è il viola della saggezza e il rosso dell’infanzia.»

«Cosa proponi di fare?»

«Propongo di non mancare all’appuntamento con la vita. Se vogliamo, siamo ancora bambini e, giocando, possiamo dimenticarci di noi stessi ed essere perdutamente felici.»

 

5 gennaio 2014 notte, L.A., Hollywood Bowl Overlook, Mulholland Drive

«Dimmi qualcosa di apotropaico» dice Liù a Gabbianello nel parcheggio. «Anzi, shhh, non dirmi niente. Sii tu stesso talismano! Ti ricordi quando avevamo 15 anni a Locarno? Ora ne abbiamo 23. Fico, no? Prendi l’oro di questo mio cuore! Baciami! (…). Ti piace il profumo d’incenso che hanno i miei capelli? Ti ho comperato il dentifricio omeopatico, quello alla mirra e senza fluoro. “Phōs” significa “luce”. E luce è anche la festa, il fenomeno, il diafano. È ciò che cerca il filosofo, la “sophia”. Guarda in alto (“epi”)! l’apparizione (“phanéin”)! L’epifania in antico volgare si diceva “befania”. E – come sai bene ‒ io sono la tua befana! la tua strega! I re magi erano astrologi orientali, maghi & filosofi. Mica una cosuccia da niente. (Parafrasando un Frammento di Eraclito: “La stella cometa non dice né nasconde, ma indica”.) Questa è la città degli angeli e dei diavoli. Baciami ancora! Poi, prima che tu parta, ti dico un segreto vero.»

 

21 agosto 2016, L.A., Hollywood Bowl Overlook, Mulholland Drive

«Viviamo!» mi dici, mentre guardiamo il panorama da Mulholland Drive. «Per vedere il prossimo film della saga di James Bond, il nuovo film di Woody Allen, per vedere il campionato mondiale di calcio del 2018. Ci sarà ancora Buffon. Per assistere ai prossimi giochi olimpici, quelli di Tokyo del 2020, anche se non ci sarà più Michael Phelps. Per guardare ancora, come ora, L.A. nella notte. Viviamo per vedere queste isole-fuochi artificiali nel buio. E sotto il cielo azzurro, grigio, nero e stellato o dai bellissimi colori artificiali determinati dall’inquinamento, continuiamo a camminare, parlare, guardare, abbracciarci, baciarci. Viviamo per vedere l’età che verrà dopo questa!»

«Un’età con una tecnologia più avanzata?»

«Nel passato si prevedevano automobili volanti: niente PC, web, cellulari. Il futuro sta dentro il suo pacco regalo ed è una sorpresa. La tecnica è un serpente che si morde la coda. Quando Neo si fa un tutt’uno con le macchine s’apre un tempo nuovo.»

E ciò che mi dici è enigmatico. Ma ti stringi forte a me. E sento il profumo di gelsomino del balsamo dei tuoi capelli e i tuoi capelli si gonfiano come una vela buia nel buio della notte.

La metropoli laggiù brilla.

Il tempo presente ingloba il futuro immenso e si estende interminabile.

 

Fine settembre 2013, Liù nel Yoshua Tree National Park

Liù si disse che l’Io era un vero mistero. E più che mai lo era il fatto che lei ‒ proprio lei ‒ lo “possedesse”. Accostò l’automobile al ciglio della strada e si fermò. Scese e guardò quella distesa di terreno sabbioso tutt’attorno, i radi cespugli, le basse colline ossute. Pensò che tutto le era prestato. Corpo, per­sonalità, capacità di comprendere, memoria, progetti, presente, la stessa nozione di Io. Si chiese se stava rendendo omaggio come si doveva a questo straordi­nario prestito. Si rispose che, per continuare a farlo, non doveva smettere di tenere in ordine il Pa­lazzo dell’Io. Scacciare le bestiacce dalle stanze del passato. Ap­parecchiare tavole in quelle del futuro. Arieggiare quelle del pre­sente. E coltivare il suo giardino. Si fece ancora una volta rapire dalla vuotezza di quel paesaggio, rientrò nell’abitacolo e riprese il suo viaggio, immaginando scaffali colmi di libri schierati, sog­giorni allagati di luce, sedie, piatti decorati, tende, cespugli di rose, margherite, api ronzanti.

 

Primavera 2009, Gabbianello, Ascona, Svizzera italiana

È tornata la primavera.

Sono sbocciate le mimose, le magnolie, i ciliegi. Nell’erba a margine del marciapiede ci sono tanti minuscoli fiori celesti.

Gabbianello cammina e respira l’aria perfetta. Si muove nella stessa direzione del fiume che scorre a qualche centinaio di metri alla sua sinistra.

Ora non lo può vedere. Ma prima, dal ponte, appoggiato alla ringhiera, l’ha guardato per alcuni minuti. Ha contemplato i suoi gorghi, i sassi, gli scintillii, la sua lenta determinazione nel dirigersi verso il lago.

La strada sulla quale cammina è calma: praticamente deserta. C’è solo un uomo fermo dentro a un’automobile parcheggiata. Dorme. Aspetta. Viaggia, rimanendo immobile. Chi lo sa?

Arrivato in fondo alla strada Ga gira a sinistra e raggiunge la zona antistante il luogo in cui una volta (così gli ha raccontato la madre) c’era un aeroporto.

L’ex aeroporto è uno spazio vasto, arioso.

Ga ora s’inoltra in esso muovendosi in direzione contraria alla corrente del fiume.

L’erba qui è secca. Ma ci sono molti graziosi fiorellini gialli sparsi qua e là.

Ed ecco che inizia la striscia d’asfalto che una volta costituiva la pista di decollo e di atterraggio di piccoli aeroplani. Ci salivano coloro che volevano farsi un giro sull’otto volante del cielo e guardare dall’alto il lago e le montagne.

Gabbianello si ferma. Sente un lontano rumore metallico di cantiere edilizio, di un trapano ‒ con cui qualcuno, forse, sta praticando un foro nel muro di una delle case che fiancheggiano la strada che corre alla sua destra, lungo il terreno vuoto ‒, il gracchiare di una cornacchia, la delicata composizione musicale prodotta da un passeraceo che se ne sta sul ramo elastico di un albero vicino alla pista.

Ga ora prende a girare su se stesso: come un derviscio.

Le montagne ancora in parte innevate, nelle zone più alte, cingono questo pezzo di mondo. Il loro è un abbraccio protettivo, dolce. Che a volte procura anche una certa sonnolenza e pigrizia. Ma il nido montagnoso, come ogni madre, prima o poi dovrà accettare che i suoi figli volino via.

Gabbianello apre le braccia ancora di più, posizionandole parallelamente al suolo. Si volta e corre lungo la linea in cui, tempo fa, accelerando, si muovevano gli aeroplanini.

Sente la voce di Liù che gli parla dentro la testa.

“Non farti ingannare dalle apparenze, Gabbianello mio, gli aeroplani ci sono ancora. Nulla si perde mai. Sono ancora parcheggiati negli hangar. E si spostano, volano, in tantissime zone dello spazio-tempo che si sovrappongono a quella che comprende te, la città e i suoi dintorni.”*

Mentre continua a correre, a Gabbianello viene spontaneo chiedere mentalmente a Liù: “Noi siamo liberi?”.

Silenzio. Liù non risponde. Trasmissione disturbata. O forse si è distratta: è davanti allo specchio che prova dei nuovi make-up. Ombretto bianco, verde satinato, blu oltremare, celeste.

Gabbianello sente il vento muovere i suoi sottili capelli biondi. Forse le scarpe gli si staccano dal terreno di qualche centimetro.

Dopo una manciata di secondi torna a terra. Rallenta. Si ferma al margine della pista. Si siede.

Si sdraia, incrociando le mani dietro la testa. Chiude gli occhi e, come una lucertola, assapora il sole tiepido.

Poi li riapre.

Vede un gabbiano solitario volare sopra di lui altissimo.

*Liù si riferisce alla visione sostenuta per esempio narrativamente e poeticamente da Marcel Proust in À la recherche du temps perdu, scientificamente da Albert Einstein e filosoficamente da Emanuele Severino, e alla teoria del multiverso (cioè delle dimensioni parallele o dei molti mondi); perché in quel momento le andava: per gioco. Cosa pensi veramente e cosa penserà in futuro è tutto da vedere.

 

Primavera 2009, Minusio, Bumblebeeland

Tiepido pomeriggio di inizio primavera. I due ragazzi erano appena usciti dal supermercato Migros.

Gabbianello aveva fatto la spesa per la mamma. Dentro la zaino appeso alle spalle trasportava riso, una scatola di sale e cipolle.

Liù aveva comperato un ghiacciolo.

Camminando senza fretta i due ragazzi si vennero a trovare di fronte all’edificio della scuola dell’infanzia che era situato non lontano dal supermercato.

Davanti ad esso c’erano dei cespugli di azalee in fiore.

Gabbianello notò un bombo intento a succhiare il nettare da un fiore rosa.

«Aspetta, Liù» disse, e si avvicinò con cautela all’insetto tra i petali.

Poi, con estrema delicatezza, appoggiò il polpastrello di un dito sul dorso di peluche nero e giallo dell’imenottero.

Gabbianello amava i bombi e le api tanto quanto i volatili e i gatti.

Durante l’infanzia e la prima adolescenza Ga aveva avuto in casa una gatta il cui nome era Fiocco di Luna. Una gatta persiana nata sotto il segno della Vergine.

Quando faceva i compiti la gatta spesso dormiva sulla sua scrivania, tra PC, quaderni e matite. A volte Ga appoggiava il suo naso su quello piccolo, umido, a forma di cuore del felino. Fiocco di Luna e il ragazzino rimanevano così per un po’, immobili. La gatta teneva gli occhi socchiusi.

Gabbianello era convinto che quell’animale fosse evoluto alla pari di un essere umano. O magari anche di più.

Senza saperlo, egli provava la venerazione per i gatti che era tipica degli antichi egizi.

Qualche volta, mentalmente, egli chiedeva alla dea-gatta: “Sei tu, Fiocco, la mia principessa? Ti ho forse già conosciuta in un’altra vita e ora ti sei reincarnata in un gatto?”.

“Io sono qui per preparare l’avvento di colei che sarà il tuo grande amore, meuu!” rispondeva telepaticamente la gatta. “Lei è una mia sorella. Insieme abbiamo vissuto tante avventure, meuu!, ad Atlantide, nell’antico Egitto, nel cuore dell’Europa medievale. Quando lei apparirà, il mio compito qui sarà finito e io uscirò di scena.”

Carezzando il pelo candido e morbidissimo di Fiocco di Luna, Gabbianello sentiva che chiunque fossero gli altri ‒ uomini, animali, piante, alieni, mostri dei laghi o delle foreste ‒ egli poteva sempre sperare di stabilire con essi un’amicizia, un’alleanza, un legame fraterno. L’altro non era un nemico.

Le dita di Gabbianello erano sensibili come zampe di farfalla o antenne di formica. Ed erano in relazione con il vento come ali di gabbiano. La sottile vibrazione del bombo si era diffusa a tutta la sua mano destra: gli massaggiava piacevolmente anche l’anima.

Con la coda dell’occhio, Ga vide Liù con la lingua appoggiata sul ghiacciolo che lo osservava di sbieco.

All’improvviso venne rapito.

Si ritrovò immerso nella panna azzurra che avvolgeva il pianeta. Senza muovere un solo arto si spostò agile come una goccia nell’oceano. Sfrecciò sopra i tetti, i monti, i fiumi, i laghi, i mari. Il mondo sotto di lui era una torta alla cioccolata. L’universo era benevolo, e lo coccolava. Si sentì invaso da un amore struggente.

Ad un certo punto planò e atterrò dolcemente in un bosco, tra alberi verdissimi e cespugli di azalee. La luce del sole spioveva, filtrando tra le fronde ricchissime di foglie. Polline galleggiava nell’aria; piccoli insetti luminosissimi facevano la spola tra i fasci di luce e l’ombra. Davanti a lui c’era un sentiero sinuoso. Prese a percorrerlo.

Mentre avanzava, sentì un ronzio. Un bombo uscì dalle foglie di un arbusto e iniziò a fare girotondo attorno a lui. Poi si avvicinò al suo orecchio e gli ronzò: «Non zono azalee come penzi tu, quezte, zz, zz!, ma fiori di rododendro! zzz!».

Gabbianello fece uscire dalla bocca un fumetto, in cui c’era scritto: “Ah!”.

«Ma non è un grave errore» proseguì l’insetto. «Zi tratta zempre di fiori appartenenti al genere Rhododendron!, eheh-ihih!, zz, zz!»

Ga amava molto osservare attentamente la forma dei fiori. I suoi preferiti erano le rose, i gigli, i piccoli fiori azzurri che crescono nei prati in primavera, le azalee e altri fiori simili che lui chiamava erroneamente nello stesso modo: “azalee”.

Sul sentiero serpeggiante, a qualche metro da lui, ora apparve Liù: assorta, leccava il suo ghiacciolo.

Gabbianello camminò verso di lei: la raggiunse. Ma lei non lo guardò: stava fissando un punto in alto.

Un improvviso sbuffo di vento fece ondeggiare la cascata di capelli castani della ragazza.

Gabbianello sentì i gentili, veloci sussulti del bombo sotto il dito indice della sua mano destra. Staccò il dito dall’animaletto: era tornato dal suo viaggio.

Liù non si era mossa di un centimetro: era lì accanto a lui che guardava una burrosa nube riccioluta bianchissima accomodata pigramente nell’azzurro lavato del cielo.

La sua lingua sul ghiacciolo – metà verde menta e metà color fragola.

“Sono queste le cose che succedono ad avere una strega per ragazza!” pensò Ga.

«Liù» disse Gabbianello.

«Sì?» rispose lei, girando il volto verso di lui.

«Sono caduto nel Mondo del Bombo.»

Liù sorrise: le labbra le luccicavano di lucidalabbra.

Prese il ghiacciolo con la mano sinistra e porse la destra al suo ragazzo.

Gabbianello sentì le dita appiccicose di lei contro le sue.

Poi, in silenzio – mano nella mano – i due ragazzi ripresero il loro cammino con le loro due anime incollate l’una all’altra.

 

Settembre 2012, NY, Filosofia-Magia-Make Up

«Praticamente il filosofo Massimo Cacciari pensa che sia logicamente impossibile che un giorno anche lontano la scienza riesca a pervenire ad un’unificazione delle forze dell’universo. Cioè, a una Teoria del Tutto. Questo dipende, riassumendo, dal fatto che qualunque predicazione della cosa non è mai la cosa in sé. L’universo nella sua essenza non è catturabile dalla nostra ragione» disse L., mentre dentro a uno dei due negozi Sephora di Times Square, quello più piccolo, osservava con attenzione alcune palette per il make-up Urban Decay esposti in uno dei vari scaffali.

«Cosa vorresti dire? Che non capiremo mai com’è davvero nato l’universo? E qual è la sua destinazione?» domandò G. un po’ scosso. Nel frattempo, contravvenendo a una delle regole del negozio, continuava a riprendere la sua ragazza con una telecamera.

«La fisica quantistica e la relatività generale, la natura ondulatoria e corpuscolare della luce» rispose lei, come recitando una filastrocca e non staccando gli occhi dai trucchi, «quello che sto dicendo e il motivo inconscio per cui lo dico, il giorno e la notte, essere o non essere, ho fame di pizza o di gelato?, se non conosco la tristezza non posso conoscere la felicità, Platone e Britney Spears.»

Ciò che L. stava dicendo non sembrava c’entrare con ciò che aveva detto prima. Proprio in quel momento Britney Spears entrò nel negozio con gli occhiali scuri e scortata da due bodyguard.

«Hai visto? Britney Spears! È apparsa appena l’hai nominata!» esclamò G., discretamente sorpreso.

«Sì, è sincronicità. Ora sto cercando un bel regalo da portare a mia mamma quando tornerò a Locarno.»

L. si era spostata di un passo lungo lo scaffale e guardava dei glitter e delle matite per gli occhi.

«Già… Ma nonostante io sia abituato alle stranezze che mi accadono con te, non riesco a fare a meno di trovare questa cosa assurda».

«Ab-surdus: che s’allontana dal suono armonioso. Cioè una stecca della realtà! L’assurdo è spesso un allontanamento dall’armonia manifesta: un segnale proveniente dall’armonia nascosta.»

«Okay. Comunque, siccome la conosci, e fa parte della tua “lista”, potresti anche salutarla.»

«In realtà l’ho incontrata solo una volta di sfuggita un anno fa. Non credo neppure che si ricordi di me. E poi se mi avvicino e ci parlo la gente attorno crederà che anch’io sia qualcuno. Non ho voglia che mi vengano a fare domande.»

«Tu sei qualcuno.»

«Sono solo una che ha scritto un libretto e che in seguito ha avuto l’occasione di conoscere alcune persone famose.»

Dopo cinque minuti, senza aver salutato la cantante, i due uscirono dal negozio. L. non aveva trovato nulla per la mamma, però aveva comperato per lei un lucidalabbra della Buxom, color original innocent pink, che si chiamava “Bunny” e che aveva un gusto vanigliato dolcissimo che G. conosceva molto bene. Percorsero la Fifth Avenue in direzione sud. Arrivati al Washington Square Park si fermarono a guardare gli scoiattoli che ci vivevano: erano perfettamente integrati all’ambiente cittadino e per niente impauriti dagli uomini. G. pensò che forse in quel giorno, oltre all’apparizione sincronizzata della cantante, non sarebbe accaduto più niente di troppo bizzarro. E andava bene così. Anche perché, da quel che egli poteva capire, in generale, si stavano verificando cose davvero notevoli. Era difficile che il Mondo degli Uomini si salvasse veramente, ma c’era chi lavorava segretamente per evitare la catastrofe, tra cui anche L.. Le nuvole correvano nel cielo creando strani giochi di luce. Un uomo stava dando da mangiare ai simpatici roditori. L. osservava la scena. Sembrava quasi ipnotizzata. G., al fianco di L., guardava il familiare volto pallido della sua ragazza: i suoi fluenti capelli castani: gli occhi verde smeraldo, verde foresta, verde speranza.

 

Settembre 2012, NY, Filosofia-Food-Magia

«Dopo 2500 anni di ricerca della verità, il risultato è il nichilismo dispiegato che abbiamo sotto gli occhi» disse L., mentre spezzava con la forchetta di plastica la fine e croccante pasta della crêpe indiana chiamata “dosa”. «La storia della filosofia giunge al suo compimento e passa il testimone alla tecnica che è estrema conseguenza del platonismo. Tuttavia – diceva Heidegger – al pensiero rimane un compito.»

L., aiutandosi con la mano sinistra, si portò alla bocca una consistente quantità di dosa ripiena di spinaci, jack cheese e pomodoro. G, seduto davanti a lei dall’altra parte del tavolino, stava mangiando una dosa farcita di pomodoro, cipolla arrosto, rucola e formaggio di capra. I due ragazzi si trovavano nell’Hampton Chutney Co. a Soho, sulla Prince Street.

L.  masticava con la tranquillità di un ruminante. G., che aspettava la conclusione della dichiarazione della sua ragazza, le disse: «Embè?».

L.  inghiottì il boccone, bevve un sorso di Fizzi Lizzy al mirtillo e poi aggiunse: «Rimane un compito, dicevo: pensare ciò che i Greci hanno dovuto non pensare per riuscire a pensare a ciò che hanno pensato».

Per riprendersi da quell’affermazione, G. bevve un po’ di limonata fresca: poi le disse: «In altre parole?».

«Pensare aletheia senza l’“a” privativa. Cioè: ciò che si nasconde sotto il disvelato. Che poi sarebbe un po’ come conoscere ciò che c’è nelle acque del Lete: il fiume dell’oblio.»

«A volte parli proprio per enigmi.»

«Non è così difficile da capire.»

«No?»

«No. Se togli da me la filosofa, che cosa rimane?»

«Be’, direi la ragazza che ho frequentato per tutto il periodo del liceo. Quella che probabilmente volava spesso invisibilmente sopra la città. A cavallo di una scopa o senza. E che ogni volta che io guardavo per più di cinque secondi una delle ragazze nordiche in vacanza a Locarno mi leggeva nella testa e poi mi tirava dei brutti scherzi.»

«Ecco. A quei tempi vivevo immersa nel non disvelato.»

«Mmh, e ora?»

«Ora nel non disvelato e nel suo contrario. Sgombro dalla mente ciò che fui perché essa si riempia di luce. Poi, col cuore, ritrovo l’oscurità vellutata del tempo antecedente l’esame di maturità. In seguito dimentico nuovamente. E così via. Oscillo tra due poli.»

Poi L. disse altro che qui non verrà scritto.

Una volta usciti dal ristorante i due ragazzi camminarono lungo la Brodway dirigendosi verso il quartiere TriBeCa.

Una volta superata Canal Street ed essere passati davanti alla Grandaisy Bakery G. domandò: «Non era il cantautore Ivano Fossati quello che abbiamo appena incrociato davanti alla panetteria?».

L. rispose: «Sì».

«Strano vederlo qui.»

«Non così tanto. Hai mai sentito la sua canzone Il battito

 

[…]per Heidegger: “La physis è l’essere stesso in forza del quale soltanto l’ente diviene osservabile e tale rimane”. Essa è “il dispiegarsi aprendosi e in tale dispiegamento fare apparizione, il tenersi in tale apparizione e dimorarvi.” Una duplice caratteristica compete dunque alla physis: il “dispiegarsi apparendosi nel dispiegamento, e il trattenersi in sé”. Questo duplice aspetto, che Heidegger rende con l’espressione In-sich-aus-sich-Hinausstehen (tenersi-in-sé-verso-il-fuori), è espresso in greco dalla parola a-létheia, il cui significato custodisce il non-dispiegato e quindi non-manifesto (léthe) che, perdurando nel fondo, alimenta il movimento del dispiegarsi e dell’apparire. Il disvelato è tale in quanto supera costantemente ciò che perdura nel nascondimento. E in questo senso Heidegger può dire che: “Il disvelato (Un-verbogene) deve essere strappato a una ascosità (Verborgenheit), le deve essere in un certo senso rapito.”

Da Il Tramonto d’Occidente di Umberto Galimberti.

 

Maggio 2013, in Skype, Filosofia & Gossip

«Lindsay Lohan è fuggita dal Seafield Center di New York perché lì non si può fumare» disse L.. «E poi dal Morningside Recovery di Newport Beach perché in quest’altra clinica è proibito l’uso del cellulare 24 ore su 24. Trascorrerà i 90 giorni di riabilitazione a cui è stata condannata al Betty Ford Center.»

«Lindsay Lohan era formidabile nel film Quel pazzo venerdì e ancor di più da bambina in Genitori in trappola» disse G..« È un vero peccato che si sia ridotta così.»

«Sì. Ma secondo il filosofo Emanuele Severino ogni cosa che accade è eterna. Attenendosi alla sua visione, la Lindsay Lohan che canta alla fine di Freaky Friday esiste ancora e non smetterà mai di esistere.»

«E tu pensi che sia veramente così?»

«Penso che sia solo una possibile lettura della realtà prodotta da un raffinato uso delle parole. Ma è affascinante. E se per caso così fosse, tra le altre cose, ci sarebbe di bello che dopo la nostra scomparsa ogni momento di entusiasmo che abbiamo sperimentato continuerebbe ad esistere per sempre dentro la Gloria.»

 

Agosto 2007, Svizzera italiana

Mezzogiorno. Con addosso dei jeans corti sdruciti ed un top verde mela, Liù sorvolava il Canton Ticino arroventato.

Per distrarsi dai pensieri che le si affollavano in testa, ogni tanto piroettava elegantemente all’indietro. Quando lo faceva, lunghe ciocche di capelli le sbattevano sul naso. Poi, come se nulla fosse, riprendeva la sua rotta lineare.

Con la sua potente vista a raggi X spiava l’acqua che scorreva nelle condutture idrauliche e che sgorgava copiosa da migliaia di rubinetti e docce. Con la sua vista comune, ma acuta come quella di un’aquila, osservava gli idranti che innaffiavano a pieno regime i giardini e i tubi di gomma dai quali fuoriusciva l’acqua con cui le persone lavavano automobili e piazzali. Da quell’altezza, anche senza usare poteri particolari, era possibile vedere perfettamente lo sfavillio dell’acqua di cui erano colme le piscine pubbliche, condominiali e private.

“Qui, la gente, sbagliando di grosso, dà per scontate le risorse idriche” pensava la strega.

 

Inverno 2007, Locarno, Svizzera italiana

Ben imbacuccata per proteggersi dal freddo pungente, Liù volava sopra Locarno.

Con la sua vista a raggi infrarossi, esaminava il giallo, l’arancione e il rosso delle case laggiù.

La città era traforata come un gigantesco colabrodo.

 

Aprile 2007, Locarnese, Svizzera italiana

Ogni sabato mattina, di buon’ ora, Liù nuotava nella piscina del cielo.

A rana.

A stile libero.

A farfalla.

A delfino.

Dopo circa due ore di esercizi planava e si posava a terra.

Poi, con serenità zen, passeggiava dentro un giardino di tulipani rossi che, a parte l’anziana proprietaria e il vecchio giardiniere che se ne prendeva cura, conosceva soltanto lei.

 

29 dicembre 2021, L.A.

Gabbianello: «Oggi Giove è entrato in Pesci».

Liù: «Già».

«Speriamo porti bene.»

«Speriamo.»

«Cosa ti aspetti dal 2022?»

«Soprattutto penso a cosa ci vuole per iniziare il nuovo anno nel migliore dei modi.»

«E cosa ci vuole?»

«La freddezza, l’autocontrollo e il coraggio di James Bond in particolare in Casino Royale del 2006; la gentilezza e il coraggio di Cenerentola: e penso al film inlive action del 2015 con l’attrice protagonista dell’Ariete; la capacità di vedere oltre la superficie di Belle ne La bella e la bestia, e anche in questo caso penso principalmente alla versione in live action, quella del 2017, in cui Emma Watson interpreta la Bella. E poi ci vuole anche un pizzico di The Ferragnez. E il gioco è fatto.»

«Le cose che dici non smettono mai di stupirmi, Liù.»

G.: «La situazione planetaria è un disastro. Eppure tu e gli altri otto avevate fatto un incantesimo per salvare il mondo».

«Salvare il mondo… Per essere precisi abbiamo creato un ponte-arcobaleno tra la Terra e il Cielo, tra Gaia e la ragione-tecnica. È stato uno sforzo enorme e, volendo, lodevole, ma abbiamo solo scalfito il lavoro del Grande Divisore.»

«Non potreste ripetere l’incantesimo?»

«Creerebbe più danni che vantaggi. Tieni conto che Gaia coincide con il sacro, cioè con il prerazionale. E il virus è un’espressione del sacro. L’umanità deve cambiare senza incantesimi. Deve fare un radicale salto di qualità.»

«E il salto di qualità secondo te in cosa consiste, precisamente?»

«Bisogna liberarsi dal pensiero platonico che ci ha guidati per 2500 anni, ossia dalla metafisica che spezza il nostro pensare e agire in due (fondamento e fondato, origine e originato), che sfocia nella volontà di potenza indicata da Nietzsche e nell’essere che ora è ridotto unicamente, come aveva previsto bene Heidegger, alla manipolazione degli strumenti… La différance derridiana è carina, certo. Ma per un salvataggio planetario bisogna andare molto molto oltre. Tenendo fermo che “B” non è “A” e che “A” non è “B”. Ma nella consapevolezza che “A” e “B” sono una cosa sola. Cioè, bisogna prendere coscienza del fatto che, sì, l’uno è molteplice, ma soprattutto che il molteplice è uno (pur rimanendo se stesso).»

«Io sono io, tu sei tu. Ma Liù e Gabbianello sono anche uno.»

«Proprio così, amore mio. Noi siamo un incantesimo. E anche un “seme” giallo della Grande Fragola. Entriamo nel rosso della sua polpa e perdiamoci. Baciamoci, abbracciamoci, arruffiamoci, scompigliamoci! Facciamo l’amore. Attraversiamo tutto questo mare in tempesta  nero come il petrolio  fino a raggiungere le spiagge dorate di un nuovo continente fiorito e puro.»

 

 

 

 

8 gennaio, 2022, Nord Beachwood Drive, L.A.

08:30 A.M.

«Ecco l’evento!» dice Liù, facendo un ampio gesto elegante col braccio destro indicante strada, automobili in movimento, alberi, case, la scritta “Hollywood” che campeggia sul monte, trasmettitore, cielo, automobili parcheggiate, palme, case dietro le foglie. «L’Innominabile di cui sappiamo poiché nominato; il continuo che si fa discontinuo nel nostro linguaggio!» E schiocca un bacio sulla guancia sinistra di Gabbianello.

G.: «…».

«La scritta “Hollywood”: insegna, legno, metallo, promozione di un nuovo progetto di sviluppo immobiliare, bosco, agrifoglio, distretto, L.A., California, cinema, attori, spettatori, racconti, sogni, industria, sesso, denaro, Occidente. Un segno, un suono, una parola, un ritaglio che contiene l’incontenibile; una coppa colma di magia che deborda versando il suo contenuto infinitamente.»

«…»

«Se smettessimo tutti quanti di parlare ci sarebbe pace finalmente! Saremmo la verità, saremmo immortali. Ma non sapremmo più che esiste qualcosa che può essere nominato “verità”; non saremmo più esseri umani.»

«…»

«Matrix Ressurrections: opera volutamente disastrosa? Dissacrante? O il prodotto di una Lana Wachowski sull’orlo di un burrone che si rende conto di aver perso la sua adolescenza per sempre e che da Gemelli spaurita getta la spugna? Che fa harakiri? Volontariamente o, molto peggio, involontariamente? Plutone: il pozzo senza fondo del suo segno.»

«Beh, di certo un film da dimenticare! Ma con Matrix Lana e la sorella hanno rivoluzionato il cinema di fantascienza, e questo non glielo toglie nessuno. In seguito hanno vissuto di rendita, non trovi?»

«Certo, tecnicamente è così. Matrix per loro è come la scritta “Hollywood”: c’è dentro tutto. Per questo meritano di poter fare ciò che vogliono.»

«E noi cosa meritiamo, Liù?»

«Noi ci meritiamo a vicenda, Gabbianello mio! Tu, senza le mie parole, oppure magie, non saresti trasparente come l’aria; io, senza di te, il tuo amore, mi perderei come Lana. Noi due insieme siamo la cornucopia che non smette mai di produrre fiori, frutti, frumento. E se facciamo un figlio, chiamiamolo Zefiro, fratello di Borea che rapisce l’amante del vento!»

08:40 A.M.

Strada. Case. Alberi. Macchine. Monte Lee. “Hollywood”. Nessuna traccia di Liù e Gabbianello.