Io, Bethany, Mark e la Fine del Mondo 2012

Io, Bethany, Mark e la Fine del Mondo 2012

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«Le risorse dell’Occidente sono agli sgoccioli» disse Mark. «Per tentare di salvarsi dal suo tramonto, l’Occidente ha radunato i suoi eroi. Gli dèi e semidei moderni. Ma è ancora pensabile un salvataggio? Oppure stiamo davvero per concludere un ciclo? E se così fosse, cosa ci sarà dopo?»

Per tentare di dare una risposta a quelle oscure domande, Mark quel giorno di primavera mi portò con sé a consultare il veggente cieco di Evanston Place a Pasadena che ci aveva azzec­cato più di una volta. Tra le sue previsioni migliori c’era la morte per cimurro del cane di mia zia Amethyst.

Non lo trovammo. Era sparito. Qualcuno ci disse che era par­tito per il Nebraska.

Io ero innamorato. La fonte dei miei vuoti di memoria e d’intelligenza (già ricorrenti anche quando non ero infatuato) era una dai capelli rossi e ondulati fissata con roba New Age. Mark mi diceva che non era il momento più opportuno. Insomma, c’era un Tramonto d’Occidente in corso!

Siccome eravamo tutt’e due disoccupati e non sapevamo che cavolo fare, andammo a passeggiare lungo l’Ocean Front Walk di Venice a braccetto come una coppia gay. E forse in parte lo era­vamo. Infatti, ad un certo punto, davanti al negozio con i mani­chini-gambe di donna che sfoggiavano leggings floreali, ci ba­ciammo.

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Fu proprio allora che apparve Bethany. Con aria minacciosa da Medusa coi capelli di fuoco sfrecciava sui roller verso di noi. Spesso si recava a Venice per farsi leggere i Tarocchi. Si trattava comunque di una coincidenza assurda. Come spiegarle lo slinguazzamento con Mark? Io ero innamorato di lei! Per fortuna la Fine del Mondo era vicina e avrebbe cancellato la necessità di ogni spiegazione.

Scarlett Johansson fasciata nell’attillato costume nero della Vedova Nera sparò un colpo di pistola e Iron Man volò sopra di noi infrangendo la barriera del suono.

Intanto io mi presi uno schiaffo che mi fece vedere i pipistrelli viola.

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«Siamo ad un bivio, in un paradosso» disse Mark intempestivamente. «Salvarsi potrebbe significare soccombere. Il Tramonto d’Occidente che ci si presenta come evento altamente infausto, assolutamente da scongiurare, in realtà non è forzatamente la Fine del Mondo, bensì potrebbe rappresentare la fine di un certo mondo, contrapposto al processo ben più grave dell’estinzione del genere umano… I dinosauri hanno regnato sul pianeta per 160 milioni di anni e si sono estinti a causa probabilmente di un asteroide. Loro sono indubbiamente i numeri uno. Noi siamo qui da solo 200’000 anni e già potremmo finire. A causa nostra, per giunta. Ma abbiamo scelta? La verità è che siamo stati programmati così dalla tanto osannata Natura. Ma perché ci ha voluto così? E perché ora ci sta facendo fuori assieme all’habitat che noi stiamo facendo fuori?»

Per saperne di più, ci saremmo proprio dovuti rivolgere al veggente cieco (e sordo da un orecchio) di Pasadena. Ma proba­bilmente ora stava in un crocicchio tipo scena finale del film Cast Away (era così che lo immaginavo), a guardare il nulla, dal momento che era cieco.

Bethany, indignata, stava schizzando via sui suoi roller. I glutei sodi guizzanti sotto la stoffa verde dei pantaloni corti aderenti. Io sentivo bruciare la faccia a causa del suo schiaffo. Hulk stava sradicando parte della pista pedonale dell’Ocean Front Walk.

«Questo è un giorno da raccontare ai posteri» sentenziò Mark. «Ma dei dinosauri in fin dei conti ne sappiamo davvero poco. Chi ci sarà dopo di noi a ricordarci?»

A quel punto mi venne in mente il 2002, quando Avril cantava Complicated e io stavo assieme a Isabel. Allora la Fine del Mondo era ancora soltanto una fiaba.

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Mi stava passando tutta la vita davanti agli occhi. Ero arrivato al dodicesimo episodio della quinta stagione di Grey’s Anatomy (l’ultima che avevo guardato perché dopo la quarta stagione la serie aveva cominciato ad annoiarmi), quando presi a vomitare acqua salata. Ero disteso sulla sabbia. Scarlett Johansson, alias Natasha Romanoff, l’agente dello S.H.I.E.L.D., nome in codice “Vedova nera”, era china su di me. Dai suoi capelli zuppi rosso rame piovevano sulla mia faccia grosse gocce d’acqua. Capii che aveva appena terminato di farmi la respirazione bocca a bocca e mi dissi che, se ne avessi avuto la forza, mi sarei subito alzato in piedi e mi sarei buttato tra le onde sperando di essere salvato di nuovo.

Nella mia testa c’era un buco.

L’ultima cosa che ricordavo era Mark che mi diceva: «Guarda! Non è il veggente di Pasadena quello che sta fotografando col telefonino Thor che lancia il martello?! Ma com’è possibile? Non era partito per il Nebraska? E poi, soprattutto, non era cieco?!».

Alla fine di quelle parole il marciapiede era esploso, mi ero sentito strappare via da terra e, in seguito ‒ puf! ‒ nero pesto.

«Sei fuori pericolo» mi sussurrò in un orecchio Scarlett-Natasha.

Un brivido di piacere mi percorse la colonna vertebrale.

«Ora devo andare.»

Si tirò su e, con la pistola impugnata, dentro il suo costume nero attillatissimo, corse verso il Venice Beach Boardwalk, scomparendo in mezzo al formicolio di gente multicolore che pure correva.

Passarono alcuni minuti e mi sentii molto meglio. Mi appoggiai sui gomiti e contemplai l’immensità blu del cieloceano. Un gabbiano che volava sghembo garrì. Forse Mark era morto. Ma d’altra parte era in corso la Fine del Mondo, mica uno scherzo. A quel punto mi resi conto di avere una voglia pazzesca di cheeseburger.

Quattro Mesi e Mezzo Prima

«Quella che ci appare come la Fine del Mondo non ha niente a che vedere con la Fine dei Tempi biblica» disse il veggente cieco di Pasadena a un capannello di persone radunato attorno a lui.

Io, come altre volte, mi trovavo lì a caso.

«No? Allora con che cosa?» chiese una signora grassa che teneva sottobraccio una borsetta verde.

«Avete presente Loki?»

«No, chi è?» chiese sempre la stessa donna.

«Il dio dell’inganno e del caos dei miti norreni.»

«E quindi?» chiese un tizio segaligno con gli occhi da gufo.

«E quindi ve ne parlerò un’altra volta. Adesso non ci vedo più dalla fame.»

La Fine del Mondo era proprio nell’aria. Ma io avevo ben altro a cui pensare. In quei giorni avevo conosciuto Bethany. Capelli rossi e ondulati, gambe tornite, appassionata di roba New Age.

Al pomeriggio, sul Santa Monica Pier, feci finta di ascoltarla mentre mi parlava di energie cosmiche.

I suoi occhi verdi erano cosmici.

Tre Mesi Prima

Era domenica. Bethany serviva champagne in un cesso turco nell’ambito di una performance artistica contemporanea in cui era stata coinvolta.

Bethany credeva che noi potessimo plasmare la vita con il potere della nostra mente. Bethany sentiva cantare le sirene dell’oceano. E a suo dire la sua anima era molto antica ed evoluta. Ma gli uomini notavano solo le sue lunghe gambe tornite e il suo viso matematicamente perfetto. Al mattino sul molo di Santa Monica mi aveva raccontato di non so quali altre dimensioni. Io mi ero distratto perché era apparsa Miley Cyrus, un mito della mia infanzia-adolescenza protratta ad oltranza. La pop star indossava un paio di occhiali da sole e passeggiava accompagnata dalle guardie del corpo. Uno stuolo di fan la attorniava. Ad un certo punto mi ero sorpreso a pensare di essere irrimediabilmente superficiale, vuoto. Ma poi avevo guardato verso l’orizzonte e avevo sentito che dentro la mia vuotezza poteva starci tutta quell’immensa azzurrità. Insomma, avevo anch’io i miei momenti di poetica illuminazione.

Tre Mesi Prima 2

«Ci vogliono cipria, terre e illuminanti per il cervello» disse il veggente cieco di Pasadena.

«E ci vuole filosofia in ogni gesto della vita quotidiana.»

La Fine del Mondo era alle porte. Dopo tre mesi sarebbe arrivato Loki, il dio dell’inganno e del caos.

In quei giorni annoiarsi sarebbe stato quasi impossibile.

Tre Mesi Prima 3

«E così stai scrivendo un nuovo romanzo?»

«Sì, ci provo» rispose l’aspirante scrittore di origine giapponese di Santa Ana.

«Non legge più nessuno.»

«È vero.»

«Io ti consiglio di lasciar perdere. La vita è breve. Goditela e basta! A proposito, questa sera vado a cena con Bethany. Tu ce l’hai una ragazza?»

«“Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi” ha scritto David Foster Wallace.»

«Eh? Che vuoi dire? Ti assicuro che Bethany non è per nulla un fantasma! Eheh! Anche se lei ai fantasmi ci crede. Ieri per esempio l’ho aiutata a “disinfestare” la casa di una sua amica! Se vuoi te la faccio conoscere. Una certa Chantal. Te la consiglio. Davvero ben carrozzata!»

«Lascia perdere, devo andare. Vado a continuare il mio romanzo che probabilmente mai nessuno leggerà.»

«Non ti capisco proprio, che senso ha?»

«Ce l’ha. Ora che a nessuno interessa più leggere siamo assolutamente liberi di scrivere ciò che vogliamo.»

A quel punto ricevetti un messaggino da Bethany. Lo lessi. Diceva una cosa erotica. Lo scrittore a me sembrava un po’ suonato. Be’, a dire il vero anche Bethany era una tipa strana. Ma d’altra parte la Fine del Mondo incombeva. Ognuno se ne inventava qualcuna per resistere. Quel giorno giocai a beach volley sulla spiaggia e la mia squadra vinse. Fu una giornata fichissima.

Due Mesi Prima

Un pomeriggio di fine febbraio, Bethany partì per una breve vacanza in New Mexico. Sperava di avvistare degli ufo, oppure, nel migliore dei casi, di incontrare dei vampiri robot. I vampiri robot erano diventati molto di moda dopo che un tizio di Alamogordo ne aveva fotografato uno ai margini del deserto.

Un Mese dopo

Bethany e Mark erano sopravvissuti.

Gli eroi avevano battuto i mostri provenienti da altre dimensioni.

Le macerie erano state rimosse e tutto sembrava di nuovo a posto.

Bethany, dopo un’altra delle sue settimane passate nel New Mexico a cercare di avvistare ufo o incontrare vampiri robot, era tornata da me. Aveva deciso di perdonare il mio momento di debolezza con Mark.

Esaltata ripeteva che stava per verificarsi il “salto quantico”.

Io non avevo la più pallida idea di che cosa significasse. Ma con quelle sue labbra di caramella morbida alla fragola poteva dire ciò che le pareva.

Mark sosteneva che stavamo solo vivendo un momento di tregua all’interno della Fine.

Un mese e mezzo dopo

Bethany scomparve misteriosamente nel New Mexico durante una notte che s’aggirava da sola nel deserto.

Per reagire al dolore della sua scomparsa, mi buttai sul cibo.

Ingurgitai grandissime quantità di cheeseburger, patatine fritte e crostate alla mela.

Poi ne trovai un’altra.

Era una cameriera di uno dei fast food in cui mi recavo per dimenticare. Non era bella come Bethany, però aveva un seno da favola.

Quattro Mesi Prima

«Parrucca bionda al bivio di due mondi. The Last Kiss fissato nell’ambra del concerto. Bacchette magiche o la Rete. Ragazze-amazzoni. Brindiamo alla Salute del Mondo con i calici traboccanti di coriandoli argentati!» disse il veggente cieco.

Quella era la prima volta che incontravo il veggente. Dopo un mese l’avrebbe conosciuto anche Mark. Io guardavo il traffico che si muoveva indifferente. Non pensavo a niente. Apparentemente non stava accadendo niente.

«Cinque guardie del corpo» continuò a blaterare il veggente. «Tre stanze d’albergo molto luminose. Staff con truccatrice e parrucchiera al seguito. Pomeriggio libero per visitare la cappella Sistina senza presenza d’altri visitatori. A tavola una buona forchetta. Nella tuta attillatissima ci sta da favola. Ultimi bagliori d’Occidente. Lasciamoli esistere! Il Cielo è vuoto. Presto bisognerà immergersi nel Buio. Le scintille ci guideranno. Riemergeremo. E poi forse saremo oltreumani.»

Chissà che diavolo voleva dire.

Ma a proposito dell’immergersi nel buio mi venne in mente Bethany e, per un istante, credetti di capire.

Forse era un po’ come quando facevo l’amore con lei.

Affondare. Perdersi. Morire.

Insomma, la Fine del Mondo.

Due mesi dopo

Bethany era morta. O comunque non era più riapparsa. Io ero abbastanza contento della mia nuova ragazza. Non era certo bella né originale come Bethany. Però aveva un seno da favola in grado di produrre tamponamenti sulle strade. Qualcosa però mi turbava. Era la scoperta che Scarlett Johansson, alias Natasha Romanoff, aveva la cellulite.

Le foto in rete che la ritraevano in spiaggia in costume da bagno parlavano chiaro.

Come affrontare l’incrinatura adiposa nel mito vivente? Dovevo far finta che fosse solo un abbaglio?

A Los Angeles era la mattina di un nuovo giorno di primavera. Io ero a letto con le mani incrociate dietro la nuca a fissare il soffitto scrostato e a martellarmi la testa con quelle domande. (Stavo diventando un filosofo anch’io?)

All’improvviso la mia nuova ragazza si svegliò e mi travolse con tutto il suo ben di Dio.

Time out. Avrei continuato a rifletterci su un’altra volta.